Pesce sprecato, non finisce in tavola ma negli allevamenti.

Pesca industriale e intensiva che sta svuotando i mari al largo della costa dell’Africa occidentale e il paradosso è che questo pesce non finisce in tavola. Gli stock di piccoli pesci pelagici, fondamentali per le flotte artigianali costiere e l’alimentazione di Paesi come il Senegal, vengono pescati da grandi flotte industriali e sempre più utilizzati non per l’alimentazione umana ma per produrre farine e oli di pesce usati nei mangimi per gli allevamenti intensivi, in particolare l’acquacoltura.

Fenomeno in crescita in Africa occidentale e che minaccia non solo i mari al largo delle coste africane ma anche la sicurezza alimentare e il sostentamento delle popolazioni costiere. A denunciarlo è Greenpeace nel rapporto “Pesce sprecato”.

“Stiamo perdendo centinaia di migliaia di tonnellate di pesce idoneo all’alimentazione umana per soddisfare l’industria mangimistica, con un impatto potenziale su oltre 40 milioni di consumatori africani”, sottolinea Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace Italia.

Secondo le più recenti stime della Fao, la maggior parte degli stock di piccoli pelagici al largo dell’Africa occidentale sono sovrasfruttati, mentre negli ultimi 25 anni le catture totali sono più che duplicate. Nonostante questo, in Mauritania tra il 2014 e il 2018 le esportazioni di farina e olio di pesce sono raddoppiate, rendendo questo Paese il maggiore esportatore di farina di pesce e olio di pesce nella regione, seguito dal Marocco.

Greenpeace ha documentato la presenza di 40 impianti di produzione di farina e olio di pesce in attività nel marzo del 2019, principalmente in Mauritania e più recentemente anche in Senegal e Gambia. L’Europa, insieme all’Asia, è tra i principali importatori di questi prodotti, in particolar modo l’Italia risulta essere il principale Paese europeo importatore di farine e oli di pesce dal Senegal.

Sebbene le quantità dell’Africa occidentale siano piuttosto limitate rispetto alla produzione mondiale, la rapida espansione della produzione negli ultimi anni, specialmente in Mauritania e Senegal, desta particolari preoccupazioni per gli impatti socioeconomici e ambientali sempre più evidenti.

Si stima che circa il 69% delle farine di pesce prodotte a livello mondiale, nel 2016, sia stato utilizzato per produrre mangimi per l’acquacoltura, il 23% per l’industria degli allevamenti intensivi di suini, il 5% di pollame. Il 75% della produzione di olio di pesce è stato utilizzato per l’acquacoltura e solo il 18% per il consumo umano diretto, come integratori alimentari e farmaci.

Secondo gli accordi internazionali, gli Stati costieri dovrebbero cooperare per garantire un uso sostenibile delle risorse comuni. Greenpeace chiede ai governi dell’Africa occidentale di adottare e attuare misure per invertire il declino delle popolazioni di pesci pelagici e garantirne uno sfruttamento equo e sostenibile, privilegiando le economie e la sicurezza alimentare locale e fermando immediatamente la produzione di farine e oli di pesce.