I piatti tipici italiani più conosciuti nel mondo: la lista completa

L’Italia è uno dei paesi più visitati al mondo.

Senza alcun dubbio è il paese con la cucina più buona e più varia del pianeta.

In giro ci sono tragiche imitazioni della cucina italiana come le fettuccine Alfredo, gli spaghetti con le polpette e la pizza con l’ananas.

In questo enorme viavai di viaggiatori stranieri, oltre al mix di ricette regionali, di piatti stagionali e di folli imitazioni d’oltreoceano, capire cosa si aspetta dalla nostra gastronomia un turista che arriva per la prima volta in Italia, non è così scontato.

Ma quali sono i piatti tipici italiani più conosciuti dai milioni di visitatori che arrivano ogni anno nel nostro Paese?

In questo post scoprirai quali sono i piatti tipici Italiani più conosciuti nel mondo, quelli più richiesti dai viaggiatori stranieri.

All’interno troverai la storia, la tradizione e qualche curiosità su ogni piatto dell’elenco.

Sei pronto? Si comincia!

1. Pizza

la Pizza, forse, nasce a Napoli, città che ne rivendica la paternità  e dove di sicuro conosce l’aggiunta della salsa di pomodoro a condimento del sottile strato di pasta.

Diventa presto uno dei collanti dell’unità nazionale e la bandiera gastronomica del nostro paese in ogni angolo del mondo, con risultati qualche volta discreti e spesso improbabili troviamo pizza ovunque andiamo.

Ma a Napoli di sicuro nasce la Margherita, la più famosa e la più semplice delle pizze che con salsa di pomodoro, mozzarella e basilico riporta nel piatto anche i colori della nostra bandiera.

Si racconta che la Regina Margherita di Savoia, durante uno dei suoi soggiorni in città a Villa Rosebery, volle provare quel cibo popolare, schietto e immediato, che tanti suoi sudditi consumavano e il pizzaiolo di Brandi a Chiaia le fece provare e le intitolò quella preparazione che da allora è rimasta legata alla più conosciuta e forse più consumata tra le pizze: la Margherita appunto.

Un giro per l’Italia della gastronomia non potrà prescindere da una vera pizza napoletana, magari gustata a Spaccanapoli e senza l’arricchimento di troppi ingredienti inutili.

Certo  ai nostri giorni ci sono pizzerie buone e anche eccellenti in tutto il paese e spesso questo umile piatto diventa pretesto per essere una base di ottima pasta con ricercatezze gastronomiche poste sopra come condimento, ma la pizza del consumatore base sia esso italiano o straniero resta in fondo una scelta a due tra  la morbida  pizza di stile napoletano o quella più croccante di stile romano.

Altre regioni propongono preparazioni simili tra le più note lo “sfinciuni” palermitano o le preparazioni della Riviera Ligure di Ponente dove troviamo la Sardenaira a Sanremo o la Pisciarà a Bordighera o la Pisciadella a Ventimiglia.

Ma se volete gustare una grande e vera pizza è in Italia che dovrete farlo: dove troviamo la pizza e le preparazioni analoghe Italia, Napoli, Roma, Palermo, Riviera Ligure di Ponente.

2. Lasagna al forno

Alla base di tutto un caposaldo della cucina italiana: la pasta fresca accompagnata da un condimento tra i più conosciuti al mondo, il ragù alla bolognese, più spesso conosciuto semplicemente come bolognese.

Bologna culla di una delle cucine regionali più ricche e allettanti del paese è la capitale del ragù; una salsa fatta partendo da un soffritto di sedano, cipolla e carota alla quale vengono poi aggiunte carni di manzo finemente tritate e spesso piccole aggiunte di maiale e pomodoro concentrato, cottura lunga e a fuoco lento per ottenere una salsa densa e carica di umori e profumi che va a condire paste fresche come le tagliatelle o ripiene come i classici tortellini o ancora, nel nostro caso diventa protagonista della lasagna al forno.

Generazioni di “sfogline”, donne addette alla preparazione della pasta fresca, hanno steso milioni di km di pasta ritagliandola nei formati più svariati, uno di questi è la classica lasagna rettangolare che, brevemente lessata, scolata e asciugata, alternata a strati di ragù e besciamella spolverizzati di parmigiano reggiano grattugiato, ripetendo l’operazione più volte ci porta alla confezione della lasagna che finirà di cuocere in forno.

L’Italia ha altri ragù e altre lasagne; il ragù più poetico rimanda all’indimenticabile Eduardo de Filippo con la sua poesia “O rrau” dedicato all’insuperabile ragù della mamma e che diventa iconico nella preparazione che esegue, passo a passo, Sophia Loren-Rosa Priore in “Sabato, domenica e lunedì”

Le lasagne più famose a seguire sono quelle marchigiane conosciute come vincisgrassi o a Venezia dove la lasagna diventa “Pasticcio “ o in Calabria e Sicilia dove al ragù tra strato e strato si aggiungono uova soda, polpettine, salame o ancora nella più vegetariana Liguria dove negli ultimi trent’anni si è affermata una leggerissima e gustosa versione di lasagna al forno al pesto.

3. Spaghetti alla Carbonara

Spaghetti e Italia sono un binomio inscindibile nell’immaginario collettivo dei gastronauti di ogni parte del mondo, in tutti i continenti si cuociono spaghetti, tutti i turisti e i visitatori che giungono nel nostro paese li esigono più e più volte.

Lo spaghetto è italiano? Fantasie di Marco Polo a parte, interpretate in qualche modo anche distorto si può dire di si; la pasta secca viene menzionata per la prima volta dal geografo di Re Ruggero Al Idrisi intorno all’anno 1100 quando descrive lunghi fili di pasta stesi al sole ad essiccare nei pressi di Trabia in Sicilia.

Per secoli napoletani e palermitani si daranno a vicenda del mangiafoglie e mangiamaccheroni, ma è indubbio che la pasta da tutti sentita come napoletana sia nata in Sicilia e abbia poi allargato il suo areale di produzione verso quelle regioni sul mare che all’epoca avevano porti e clima ideale per l’essicazione del prodotto. Tra le zone rimaste più celebri oltre al napoletano, la provincia di Imperia con il porto del capoluogo che divenne negli anni uno dei maggiori poli di arrivo del grano duro.

Roma diventa però la capitale dello spaghetto e la “Carbonara“ ha grande merito in questo diventando negli anni uno dei piatti più famosi del nostro paese; nasce quasi per caso con bacon, rosso d’uovo in polvere, crema di latte e formaggio, tutti alimenti in dote agli alleati che hanno liberato l’Italia, e per la fantasia di un giovane cuoco bolognese che li assembla come condimento della pasta nel preparare un pranzo per Ufficiali americani.

La ricetta è variata di poco negli anni ed ad oggi prevede il guanciale ( introdotto negli anni sessanta ) al posto della pancetta, rosso d’uovo, formaggio; via via con il passare della moda è scomparsa la panna a tutto favore del gusto della preparazione

In un tour gastronomico di una Roma capitale della pasta, accompagnano la carbonara la mitica “amatriciana”, in realtà originaria di Amatrice al confine con l’Abruzzo ( guanciale, formaggio pecorino e pomodoro ) o la sua antenata la “gricia”( stessi ingredienti ma senza pomodoro ) o la “ cacio e pepe” non facile fusione di formaggio pecorino, pepe nero e acqua di cottura della pasta; non sempre son spaghetti quasi sempre l’amatriciana è proposta con i bucatini e la cacio e pepe con i tonnarelli che sono una variante dello spaghetto alla chitarra abruzzese.

4. Il Pesto

Da Nizza al confine francese fino alle Cinqueterre, la nostra salsa a base di basilico e pochi altri ingredienti è la vera bandiera gastronomica della regione.

Dici Pesto e dici Genova, dici Liguria, la piantina di basilico magari sul balcone nella vecchia latta di conserva è una delle icone della Liguria di un tempo; ma la salsa è viva e attuale e ormai conosciuta  in tutto il mondo, ne è una evidente dimostrazione la massa eterogenea di concorrenti che ogni anno dopo rigorose selezioni, quà e là per il mondo, si affronta a colpi di pestello nei saloni di Palazzo Ducale per il Campionato Mondiale del Pesto sotto la regia severa e bonaria del re del Pesto: Roberto Panizza

Come quasi ogni ricetta anche famosa le origini del pesto sono incerte e confuse, solo verso fine ottocento si trova qualche testimonianza scritta ma di sicuro la salsa è di molto antecedente.

L’ipotesi più accreditata la vorrebbe evoluzione di una salsa a base di yogurt, aglio e frutta secca, di origine mediorientale e riportata in patria dai Crociati: ci stà e non è molto lontana dall’attuale salsa di noci, classico condimento dei Pansotti, i grossi ravioli “panciuti” tipici della cucina genovese.

Nel tempo questa salsa incontra il basilico, che ci arriva dall’India e a seconda dell’andamento delle relazioni politiche e commerciali della Repubblica Genovese, cambia anche il tipo di formaggio impiegato.

Ad oggi la ricetta vede come ingredienti oltre al basilico ligure (al di fuori della nostra regione questa pianta tende ad avere un sapore mentolato), aglio magari di Vessalico che è un presidio Slowfood, pinoli italiani, parmigiano reggiano e pecorino sardo grattugiati, olio extravergine e sale grosso.

Il vero pesto non dovrebbe conoscere “riscaldamento” da frullatori o altri aggeggi dei nostri tempi; il buon vecchio mortaio e il pestello restano insostituibili per ottenere il massimo.

Chef di tutto il mondo stanno utilizzando il pesto nelle maniere più svariate ma da noi il pesto è il condimento principe della pasta sia essa fresca. A Genova le larghe lasagne dette “mandilli de sea”, o le trofiette o gli gnocchi oppure secca e in questo caso pasta lunga: le ligurissime trenette alle quali si accompagnano spesso anche fagiolini spezzettati e patate a cubetti.

Dall’altra parte della frontiera il pesto o pistou è sinonimo di zuppa; infatti nell’areale della vecchia Contea di Nizza, un pesto più scarno, privo di pinoli e con meno formaggi diventa il completamento ideale di una bella zuppa estiva di verdure e legumi, appunto la “ Soupe au Pistou”.

5. Ravioli, Tortellini e Agnolotti

Grande è la famiglia delle paste ripiene in Italia; dall’estremo nord alla Sicilia non c’è quasi regione che non abbia una o più preparazioni di pasta ripiena nella propria cucina di tradizione; molte note, altre meno all’interno dell’involucro di pasta troviamo i ripieni più svariati ma su tutti svettano:

  • I Tortellini a lungo e forse per sempre contesi tra Modena e Bologna, hanno un ripieno di carne di maiale con prosciutto crudo e mortadella e si consumano rigorosamente in brodo di carni;
  • Gli Agnolotti del plin, della tradizione piemontese, hanno ripieni di carni miste e verdure e si servono conditi con sugo di arrosto o con burro e salvia o anche da soli su un tovagliolo per assaporarne a pieno il gusto.
  • I Ravioli della tradizione ligure, genovese in particolare; il ripieno è composto da carne cotta in salsa di pomodoro, bietole e borragini ; una curiosità: la Liguria è l’unica regione italiana dove già a fine ottocento si possono trovare nei ricettari tradizionali dei ravioli con ripieno di pesce.

6. La Focaccia

Un umile impasto di farina, acqua, lievito e sale, con il tocco finale di olio EVO; partendo dalla Liguria ha conquistato l’Italia e il Mondo con la sua infinità di varianti.

La qualità della farina, che deve essere di grano duro, più ricca di glutine, la qualità dell’olio extravergine usato e la manualità di chi la prepara, comprese le fossette finali sulla superficie dell’impasto e un forno molto caldo, sono alla base del successo di questa preparazione.

Infinite sono le varianti classiche in Italia, tra le più conosciute:

  • La focaccia genovese, la madre di tutte le focacce, il semplice impasto arricchito da sale grosso ed olio EVO sulla superficie
  • La focaccia di Recco, tutta una storia dalla mitica Manuelina che la inventò in avanti: due strati di pasta a racchiudere mucchietti di formaggetta ligure, oggi sostituita da crescenza o stracchino, che in cottura si fondono e danno origine a un capolavoro del gusto
  • La focaccia con le cipolle; sulla superficie cipolle stufate lentamente è anch’essa una specialità ligure
  • La schiacciata fiorentina, più sottile e friabile di quella ligure
  • La focaccia barese, cosparsa di pomodorini freschi e olive nere
  • La focaccia messinese, con scarola, pomodoro spezzettato, olive e tuma fresca

Poi venne il fast food ma non riuscì a scalzare la focaccia dal suo trono, ci convive e la usa con le migliaia di varianti che ne sono derivate: nell’impasto base con l’uso di farine dei cereali più diversi o arricchendo l’impasto base con alimenti coloranti, e poi le guarnizioni o le farciture.

L’umile focaccia è duttile e questa sua semplicità ne ha determinato il successo che, inalterato, dura da sempre, anzi si accresce.

7. Il Risotto

Il riso uno dei simboli della gastronomia dell’Italia del nord, fa la sua comparsa in Italia invece nel profondo sud, portato dagli Arabi compare in Sicilia intorno al 13° secolo.

Da lì, dopo aver lasciato in eredità gli splendidi arancini, risale lo stivale con la mediazione di una sosta nella zona di Napoli che, tramite il legame degli Aragona con gli Sforza di Milano, fece conoscere il riso ai lombardi. Una volta portato in pianura padana non se ne staccò più trovando in quelle terre il luogo ideale per essere coltivato con successo.

Come la focaccia si presta ad essere interpretata così il risotto è ingrediente duttile in mano a donne di casa, cuochi per divertimento e grandi chef.

Ma se pensiamo ad un risotto allora la prima reazione ci fa pensare subito al “risotto alla milanese”; giallo del suo zafferano aquilano, ingentilito del miglior burro, lasciato all’onda dopo la mantecatura.

Molti aneddoti fanno risalire questa ricetta ad epoca rinascimentale, in realtà fino al 1800 non ci sono riscontri che possano convalidare queste fantasie; dal XIX secolo in poi il riso, fino ad allora consumato solo bollito, inizia ad essere lavorato in modo diverso e compare il primo “riso giallo in padella“.

Ma il riso non resta appannaggio dei soli milanesi ed ecco che:

  • In Veneto abbiamo lo splendido riso con i piselli Risi e Bisi;
  • A Venezia, nella celebre locanda di Torcello un’invenzione di Arrigo Cipriani: il Risotto Primavera con le verdurine della laguna;
  • Supplì romani: morbide crocchette con carne trita, pomodoro e parmigiano;
  • il barocco Sartù napoletano, regale timballo con mille ingredienti;
  • in Puglia la Tiella di riso, cozze e patate
  • la Panissa o Paniscia dell’alto Piemonte arricchita da molte parti del maiale
  • e in fondo allo stivale i già citati e mitici Arancini siciliani all’origine di questa storia.

Fuori dal coro e dalla tradizione il Risotto di Mare o alla pescatora o come preferisce chiamarlo chi lo prepara, certo preparazione anche turistica di anni recenti e sotto il cui nome si possono trovare autentici capolavori o preparazioni da dimenticare…

Occhio a dove lo si mangia!

8. La Polenta

Acqua, farina di granoturco e sale. Stop.

Un po’ di pazienza nel rimestare in continuazione il composto sul fuoco nel suo paiolo e dopo una scarsa ora si potrà versare sull’asse una splendida preparazione densa ma ancora fluida, color dell’oro.

Una preparazione povera e per questo duttile e pronta ad accettare l’abbinamento con carni o pesci, con formaggi o verdure, e in qualche caso a diventare anche un dolce.

La Polenta come la conosciamo oggi è fatta quasi unicamente con farina di granoturco, ma il mais, uno dei “ semi dell’Eldorado” come venivano spesso chiamati i prodotti arrivati in seguito alla scoperta delle Americhe, inizia ad essere usato in Europa solo verso la metà del 1600 mentre la storia della Polenta o delle Polente è vecchia come il mondo, con testimonianze non solo del Puls degli eserciti romani, ma a risalire fino agli Assiri e ai Babilonesi.

Dopo un periodo di rifiuto e abbandono, non dimentichiamo che la polenta fu spesso l’unico alimento a disposizione di interi e vasti strati della popolazione e quindi sinonimo di bisogno e povertà , oggi vive una nuova giovinezza, nei ristoranti dell’Italia del Nord è difficile non incontrarla almeno nel periodo invernale, in casa è diventata sinonimo di riunione e convivialità e lascia ai cuochi mille possibilità di utilizzo, se vogliamo rimanere nella tradizione:

  • nelle valli piemontesi e valdostane troviamo la Polenta Concia, condita con morbidi formaggi che cambiano a seconda della zona di preparazione: fontina, tome e molto altro…
  • restando sul formaggio immancabile la Polenta e Gorgonzola, un formaggio che sembra creato apposta per fondersi al calore;
  • classicissima in Veneto la Polenta e Baccalà;
  • in Trentino la Polenta col toccio (sugo) di salamino;
  • solo per cronaca riportiamo la Polenta e Osei, uccelletti la cui caccia è stata bandita ormai da molti anni.

… e poi la polenta che avanza da modo di scatenare la fantasia di ogni cuoco.

Curiosità:

  1. nel veneziano è molto popolare la Polenta Bianca, ricavata da un tipo di mais bianco e servita spesso con le seppie al nero; risultato eccezionale dal punto di vista gustativo e cromatico;
  2. in Valtellina e dintorni è molto popolare la Polenta Taragna, preparata con farina di grano saraceno e di conseguenza dal colore molto scuro.

La Polenta diventa anche un dolce, semplicemente fritta e zuccherata o in preparazioni ormai storiche come la Polenta e Osei bergamasca che richiama in versione dolce (polenta zuccherata ricoperta da pasta di mandorle e con uccelletti di cioccolato).

9. Il Minestrone

Pur con mille sfaccettature diverse il minestrone di verdure è un piatto che unisce il paese dall’estremo Nord al Sud più profondo; piatto simbolo della cena italiana fino agli anni settanta, ha subito l’oblio di tanti altri piatti della tradizione casalinga regionale, ma ora rialza il capo, e la varietà di zuppe che il nostro paese può proporre solletica le papille dei visitatori stranieri, soprattutto di quelli, sempre più numerosi, provenienti dai paesi dell’est europeo e dal nord che hanno radicata l’abitudine di includere una zuppa nei loro pasti.

La base è un misto di verdure a tal punto che la parola stessa “minestrone” è diventata sinonimo, spesso purtroppo in negativo, di grande mescolanza, di enorme confusione ed in effetti il nostro minestrone è in fondo una ricetta assai anarchica, certo codificata ma con ampi margini di interpretazioni personali e di differenziazioni regionali sia tra le verdure e i legumi sia per i tipi di pasta che lo accompagnano, ad esempio

  • in Lombardia al posto della pasta troviamo il riso;
  • in Veneto non mancheranno mai i fagioli;
  • fagioli e fagiolini in Liguria, insieme al basilico e spesso il tocco finale del pesto;
  • a Roma troviamo i carciofi;
  • erbe selvatiche e legumi caratterizzano le zuppe abruzzesi e molisane;
  • a Napoli è immancabile l’aggiunta di pomodoro;
  • in Puglia compaiono le cime di rapa e non manca il pecorino.

La “povertà” del minestrone è qualche volta nobilitata da aggiunte di un elemento proteico che può essere presente nel soffritto come il lardo o la pancetta, in molte zone si aggiungevano le croste del parmigiano prima bruciacchiate e ripulite, raramente qualche pezzo di carne o forse un osso con un po’ di carne…

Anche perchè in fondo: un buon piatto di minestrone fa sentire il servo padrone.

10. La Fiorentina

La fiorentina evoca nella memoria collettiva una grande bistecca di manzo, pochi, al di fuori di Firenze sanno esattamente che cosa sia e che cosa aspettarsi dopo averla ordinata.

Il più delle volte giunge in tavola un pezzo di carne magari anche abbondante, bruciacchiato, di spessore irregolare e di difficile taglio. Il viaggiatore dovrebbe sapere che sono due i tagli della fiorentina e sono conosciuti come bistecca nel filetto e bistecca nella costola; in genere al di fuori di Firenze, quando va bene è conosciuto solo il primo.

La vera fiorentina si ricava da esemplari di razza Chianina. La carne va frollata per una ventina di giorni e al taglio si presenta come un classico Tbone steak.

Il peso deve oscillare tra i 750 gr e il kg. 1,250 con uno spessore minimo di tre dita. Prima della cottura il pezzo di carne deve essere portato a temperatura ambiente.

La fiamma  deve portare ad una temperatura di cottura molto alta e i tempi non devono superare i 4-5 minuti per ogni lato. Nessuna aggiunta di aromi in cottura. Solo del sale grosso alla fine.

Non c’è bisogno di dire che la fiorentina ha una sola cottura “al sangue “ e l’interno deve risultare appena tiepido. Chi non ama le cotture al sangue è meglio che ordini un altro piatto.

La fiorentina non vuole contorni ma la tradizione in città era quella di accompagnarla con i toscanissimi fagioli nel fiasco: un piatto in via di estinzione che prevedeva la cottura dei fagioli cannellini, lasciati in ammollo per una notte,  in un fiasco spagliato alla brace del forno da pane.

Nel fiasco insieme ai fagioli scolati dall’acqua dell’ammollo si metteva qualche foglia di salvia, olio EVO, buon pepe macinato di fresco e acqua a sufficienza. Una cottura lunga anche tre ore che spiega come mai in mancanza di forni, di fiaschi e di pazienza questo contorno sia in pratica sparito

11. Fritto Misto

Popolarissimo quanto snobbato dalle cucine più raffinate, senza radici vere nella cucina di tradizione e senza una ricetta codificata, il Fritto Misto di Mare è diventato negli ultimi 50 anni uno dei piatti iconici del mangiare all’italiana.

È vero che ci sono “Fritti misti” in alcune cucine regionali come in Piemonte dove in burro chiarificato si friggono gli ingredienti più disparati ed in apparente contrasto come salsiccia e mele o semolini e fegato. Oppure a Roma dove il fritto tradizionale è a base di verdure e baccalà.

Ma in nessuna di queste cucine di tradizione si trovano ricette del Fritto misto di Mare, eppure, dagli anni sessanta in avanti, partendo dalla frontiera francese e arrivando a quella slovena, dopo aver fatto il giro di tutte le coste italiane isole comprese, non troverete una località di mare dove non venga proposta questa specialità.

Il fritto è conviviale, rende allegri e forse felici, si consuma in compagnia e più facilmente con le dita.

Che cosa serve per un buon fritto misto?

La varietà è spesso data da ciò che un mare offre piuttosto che un altro: calamaretti, acciughe, piccole sardine, sogliolette, triglie, gamberi, nasellini ma se chi lo propone lo fa in maniera seria avrete sempre nel piatto una portata appetitosissima.

In anni più recenti è subentrata l’abitudine di introdurre, nella composizione del fritto, anche verdure di stagione: diversifica e forse alleggerisce un po’.

Una curiosità: il miglior fritto misto d’Italia si mangia in uno dei locali più lussuosi della penisola e lontanissimo dal mare: da Vittorio, un tre stelle Michelin vicino a Bergamo, non proprio affacciato sul mare…

12. Tartufo Bianco

Il tartufo bianco, un fungo che nasce e matura nel sottosuolo è diventato uno degli status symbol del mangiare ricco ed elegante.

Si viaggia dai quattro angolo del mondo, per arrivare nella Mecca del tartufi bianco: la Langa.

E la Langa ne ha giustamente fatto uno dei suoi simboli in simbiosi con vini tra i più grandi e famosi al mondo, su tutti il Barolo.

Conosciuto dall’antichità, ma meno in Francia e non compare per questo motivo nei grandi ricettari classici ottocenteschi e della prima metà del novecento.

Nonostante gli endorsement di personaggi come Rossini, famoso gourmet,  ma anche di Marilyn Monroe e Alfred Hitchcock in un passato più recente.

Non è ancora coltivabile nonostante migliaia di tentativi, e truffe collegate, e da qui nasce il mito giustificato della sua rarità e quasi per una legge del contrappasso viene scovato sotto il terreno da umili cani meticci. Il suo prezzo è però tutt’altro che abbordabile e va a seconda delle annate, della qualità e della pezzatura dai 3000€ ai 6000€ al kg.

Nonostante anche con il tartufo si azzardino abbinamenti improbabili la quasi totalità dei consumatori rimane sul classico: la grattatina con l’immancabile affettatartufi è il massimo su una battuta di manzo, sugli ultra tradizionali tajarin piemontesi, magari fatti con quantità spropositata di tuorli d’uovo per chilogrammo, sulla fonduta alla valdostana e su pochi altri classici.

L’autunno, dalla fine settembre all’inizio di dicembre, è la gran stagione del Tartufo. Alba, cuore della Langa, dove si tiene ogni anno la “Fiera del Tartufo”  è l’ombelico del mondo di questo pregiatissimo fungo, intorno al quale si è sviluppato un turismo di grande livello che ha dato vita a strutture tra le migliori del nostro paese.

13. Acciuga (o Alice)

Il più famoso dei cosiddetti pesci azzurri è una delle bandiere della cucina povera italiana di tradizione regionale, lo troviamo quasi in ogni stagione dell’anno e nel nostro paese così come in tutto il Mediterraneo lo si pesca lungo tutte le coste.

Al contrario di altri pesci azzurri, spesso guardati con sospetto a causa delle troppe lische o delle carni che in cottura tendono a rinsecchirsi, l’acciuga trionfa sulle tavole di ogni ristorante di mare ed è ricercato ed apprezzato da ogni tipo di clientela, fatto che ne fa anche un prodotto di grande interesse commerciale.

Sulle coste italiane, in Liguria e in Campania soprattutto è viva, anche se non più casalinga, la tradizione della salagione delle acciughe, da consumare solo dissalate o da aggiungere a mille preparazioni o da esserne la base: chi non conosce la mitica Bagna Cauda piemontese ?

L’acciuga dissalata viene poi anche conservata e commercializzata in olio.

Il trionfo di questo pesce è comunque in tavola e davanti ad un piatto di acciughe fritte non c’è consumatore locale o turista che sappia resistere.

Se dobbiamo prendere una regione a caso e identificarla con l’acciuga, senza smentite la Liguria: è quella nella quale le cuoche di casa sono riuscite a declinarla nelle forme più fantasiose e diversificate.

Intanto cruda, quando l’Italia era lontana dal buon contagio del pesce servito crudo, nel ponente ligure le acciughe venivano servite appena marinate in succo di limone, scolate e servite con buon olio Evo.

Poi le troviamo ripiene, con verdure verdi o con patate. O ancora aperte a cotoletta impanate e fritte. In tortino addirittura.

Nel Levante, ancora, in quella splendida zuppa conosciuta come “Bagnun d’Anciue”. Qui la popolarità è stata tanta che anche il grande De Andrè le ha celebrate in un suo pezzo:

“…le acciughe fanno il pallone, che sotto c’è l’alalunga, se non butti la rete, non te ne lascia una….”

14. Stoccafisso e baccalà

Un pesce non mediterraneo, un pesce che arriva dal grande Nord, è diventato, per motivi storici, la base di un’infinità di piatti regionali italiani ed uno dei prodotti ittici più consumati fino a non tantissimi anni fa.

Alla base il merluzzo nordico nella sua varietà più nobile (gadus morhua), uno dei pesci commercialmente più importanti a livello mondiale, che nel nostro paese trova il mercato più importante.

Le due versioni lo stoccafisso, il pesce prima salato e poi essiccato all’aria dei fiordi norvegesi e il baccalà, salato a strati in barili sono egualmente diffusi in Italia. Più al Nord il primo, più al Sud il secondo.

Ma come mai questo pesce ha avuto questa grande fortuna da noi?

Un concatenarsi di causa-effetto dovuto a motivi storici e geografici: il Concilio di Trento e la successiva controriforma insieme a tutto il dettato relativo a dogmi e comportamenti a livello fede, sortì anche un moltiplicarsi a livello esponenziale dei giorni cosiddetti “di magro” nei quali non si poteva consumare carne di nessun tipo.

Le coste lontane, le pescherie proprietà di nobili e conventi, le tassazioni per poter pescare in fiumi, laghi e torrenti diedero il via al consumo di questo alimento conservato che aveva fatto fino ad allora timide apparizioni.

Fu l’abilità di Olao Magno, vescovo e cartografo nordico, che intuì le potenzialità commerciali del merluzzo e ne divenne il principale sponsor: Venezia e Genova i due maggiori porti italiani dell’epoca divennero le capitali del merluzzo e fu appunto intorno a questi scali che si sviluppò la tradizione culinaria legata soprattutto allo stoccafisso e così che a Genova troviamo:

  • l’insalata di stoccafisso e favette (i bacilli);
  • lo stoccafisso in umido con olive nere, peperoni, patate che arriva fino a Nizza dove diventa “Estocaficada”;
  • le frittelle (friscioei) di stoccafisso;
  • il particolare “brandacujun” tipico dell’estremo ponente ligure e che ha assonanze con la “brandade” provenzale.

A Venezia si crea un po’ di confusione con il fatto di chiamare baccalà lo stoccafisso, superato questo scoglio troviamo soprattutto:

  • il baccalà mantecato alla veneziana; ancora più simile alla “brandade” in quanto non prevede patate.

Mentre il piatto a base di merluzzo più famoso del Veneto resta a base di stoccafisso:

  • il baccalà alla vicentina.

15. Tiramisù

Mai un dolce ha conquistato il mondo intero con la rapidità dell’italianissimo Tiramisù.

Se si vuol dar credito a eventi relativamente recenti e non a storie molto romanzate che lo vogliono creato da una maÎtresse trevigiano dell’800 a mo’ di Viagra del tempo, la creazione del Tiramisù va collocata a metà degli anni sessanta. Sempre a Treviso e senz’altro su ricordo di una ricetta della memoria (dalla Carnia ?) al ristorante Le Beccherie.

Gli ingredienti che sono alla base del Tiramisù certo fanno pensare a qualche funzione ricostituente oltre che golosa: biscotti savoiardi imbevuti nel caffè, crema a base di uova e mascarpone, cacao e sin qui la base classica poi arricchita da un tocco alcolico, marsala e con azzardo un po’ di rum diluito.

Dopo una gestazione regionale e timidamente nazionale, e in proposito si può dire che questo dessert è uno dei pochi veramente diffuso su tutto il territorio nazionale.

All’inizio degli anni ottanta la popolarità del Tiramisù contagia il mondo intero e già negli anni ottanta diventa il dessert cult nei ristoranti della Grande Mela. New York, diventa per il nostro dessert, come per mille altre mode il  trampolino di lancio verso la fama mondiale.

In Italia troviamo il Tiramisù un po’ in tutte le fasce di ristorazione, è amato da giovani e meno giovani e ognuno ha la sua ricetta.

Anche i grandi chef e i migliori pasticceri si sono confrontati con il Tiramisù creandone interpretazioni curiose e interessanti, ma in fondo anche nella più umile pizzeria potrete trovarne una versione più che buona e se pensate che il vostro sia il migliore potete sempre presentarvi alla Tiramisù World Cup che si svolge a Treviso da qualche anno.

Conclusione

Eccoci arrivati alla fine di questo viaggio nell’immaginario dei viaggiatori che decidono di godere della cucina tipica nostrana.

Grazie a questa lista saprai perfettamente quale ristorante consigliare ai turisti appena arrivati in Italia che ti chiederanno un’informazione per strada.

A quelli che invece sono qui già da un po’, potrai suggerire le innumerevoli e nascoste specialità regionali, oppure guardare il calendario e guidarli verso piatti stagionali che magari difficilmente avranno l’occasione di provare.

In ogni caso, rileggendo tutti i piatti dell’elenco, non si può dire che all’estero siano male informati. Non c’è immagine che non evochi il ricordo, i profumi e i sapori di piatti davvero eccezionali della nostra cucina.

Qualche turista straniero ti ha chiesto con insistenza qualche piatto che non ho inserito nell’elenco? Mi sono perso qualcosa? Scrivilo nei commenti e condividi con noi la tua opinione sui piatti tipici italiani più conosciuti nel mondo.

 

Articolo di: “www.italian-riviera.com”