Così il virus cambia i consumi nel mondo

Prima i prodotti per la disinfezione e la protezione, poi la corsa a cibi confezionati e surgelati. In uno studio Iri-Bcg l’evoluzione delle vendite in Italia, Francia, Uk e Usa.

Metà febbraio per l’Italia. Il 23 per la Francia. Il primo marzo per gli Stati Uniti. Seguire le vendite dei prodotti alimentari e più in generale dei supermercati nel mondo offre una chiave di lettura nuova per osservare la diffusione globale del coronavirus. Che tra gli effetti collaterali vede il manifestarsi di una relazione immediata e diretta tra contagi e corsa agli acquisti da parte delle famiglie.

La ricerca globale condotta da Iri e Bcg evidenzia in modo puntuale gli effetti del panico sui comportamenti individuali, identificando dei punti di svolta ben visibili nei singoli paesi, così come la direzione in termini di consumo delle scelte emergenziali adottate.

Anticipate in Italia, con vendite stabili fino alla metà di febbraio e poi in rapida ascesa: prima con uno scatto del 7%, poi quasi raddoppiato al 12% nelle due settimane successive, terminanti l’otto di marzo. Un primo scatto determinato soprattutto dagli acquisti nel Nord del paese, poi consolidato con una corsa ai supermercati diffusa a tutta Italia.

In termini percentuali gli incrementi maggiori si rilevano per tutto ciò che è utile a disinfettare, con vendite di alcool denaturato quasi quadruplicate e valori raddoppiati o triplicati per guanti, prodotti per l’igiene, kit di primo soccorso, medicazione in generale.

Il confronto
Situazioni analoghe si vedono anche negli altri paesi oggetto della rilevazione, anche se la diversa scansione temporale del contagio “muove” in modo diverso le categorie merceologiche.Fino all’otto marzo, ad esempio, le vendite di cibo confezionato si sono impennate in modo evidente in tutta Europa, con crescite analoghe tra 16 e 17% per Italia, Francia e Regno Unito, mentre negli Usa le crescita era limitata al 10%.

Una consapevolezza diversa della pericolosità del virus ha innescato comportamenti diversi anche nei confronti dei prodotti per l’igiene personale: raddoppiati in Italia, cresciuti del 40-50% per Francia e Regno Unito, “solo” del 25% negli Stati Uniti.

 

LE VENDITE NEL MONDO

Variazioni percentuali rispetto all’anno precedente. Dati relativi alla settimana terminante l’8 marzo.

 

Houston, no problem
Fino al primo marzo, quando ancora Trump puntava a minimizzare l’impatto della crisi, le vendite di numerose categorie di prodotto a Washington galleggiavano attorno alla crescita zero o quasi, mostrando in sintesi una situazione di totale normalità. Dal primo marzo anche qui si osserva tuttavia un cambiamento, con un primo effetto evidente della corsa a fare scorte. Il cibo confezionato cresce del 10%, gli alcoolici del 9%, i surgelati del 5%. Ancora nulla in confronto all’Europa ma certo un primo indizio di quello che sarebbe accaduto.

E infatti, già la settimana successiva, dal primo all’otto marzo, gli spray disinfettanti quintuplicano le proprie vendite, i gel per mani si moltiplicano per sei, i guanti usa e getta triplicano, il sapone per mani cresce del 150%. Ai primi sei posti, in termini di crescita percentuale, vi sono solo prodotti non-food, quelli che servono per difendersi in prima battuta dal contagio. I limiti alla mobilità non vi sono ancora e così le famiglie tentano anzitutto di proteggersi, non preoccupandosi troppo delle scorte di cibo.

Un confronto tra Italia e Stati Uniti nell’ultima settimana fornisce un quadro evidente della diversa percezione dei problemi, così come delle diverse fasi restrittive in termini di necessità di spostamento. Con vincoli ben presenti nel nostro paese già all’inizio di marzo, quasi assenti invece negli Stati Uniti.

Che il cibo inizia ad essere una priorità in Europa e non negli Usa è evidente guardando la classifica dei beni per crescita percentuale. Tra i primi dieci prodotti vi sono tre categorie alimentari in Italia, sette in Francia, quattro nel Regno Unito, solo una negli Stati Uniti.

Così, mentre da noi i surgelati balzavano verso l’alto del 16%, negli Usa il progresso era limitato al 5% e una distanza analoga si riscontra per cibi confezionati (+16% da noi), prodotti freschi (+10% da in Italia, +3,4% negli Usa) e latticini.

Ottimisti e pessimisti
Così come sfasati in termini temporali sono gli acquisti, altrettanto capita per gli umori individuali. Nelle rilevazioni di Bcg a temere una recessione globale l’8 marzo negli Stati Uniti era solo il 56% del campione, salito al 72% una settimana dopo. Quando in Italia, a vedere “nero” sull’economia globale era già il 90% delle persone.

E mentre il 90% degli italiani, ovviamente, dichiara di aver modificato il proprio stile di vita in funzione del coronavirus, la percentuale negli Usa era appena il 30% il 9 marzo, raddoppiata al 59% il 16.

Quando i contorni del dramma iniziano ad essere chiari anche lì.

 

Articolo di Luca Orlando per “www.ilsole24ore.com”